Pannelli di legno da cui far nascere disegni incredibili, bombolette di colore ovunque, l'odore della vernice spray, musica, cibo e intrattenimento: il mio primo weekend di ottobre è stato riempito da tutte queste cose, a Terruggia, un paese sulle colline del Monferrato vicino alla mia città, in cui un gruppo di writers ha organizzato, per la seconda volta, un Graffiti Festival. Per chi mi conosce dal punto di vista "fotografico", sa che il genere street mi affascina non poco e questa è stata una buona occasione per mettermi in gioco con qualche scatto diverso e pieno di colore. Entrare nella piazza del paese e vederne una buona metà circondata da pannelli su cui i writers stavano realizzando i loro graffti è stato veramente uno spettacolo per i miei occhi e una gioia per il mio spirito da fotografa che vedeva ovunque scatti stupendi da realizzare. La giornata di domenica, poi, è stata piena di altri eventi, prima tra tutti una maratona fotografica a cui ho partecipato (che è anche il motivo per cui alcuni dei miei scatti non saranno subito pubblicati, ma abbiate pazienza...), poi spettacoli per bambini, il pranzo cucinato dalla Pro Loco e da altri locali del paese, esibizioni di vari artisti, il tutto accompagnato dalla musica e dalle risate dei partecipanti. Vi metto qui sotto una piccola anteprima delle mie foto, per il resto, visitate la mia Gallery! Andatevi a guardare anche la pagina Facebook di Writerruggia Graffiti Festival!
Qualche domenica fa sono ritornata al Museo del Cinema di Torino (ospitato all'interno della Mole Antonelliana), per fare un ripasso propiziatorio prima del mio esame di Storia e Critica del Cinema. In realtà non ero molto in giornata per scattare delle fotografie, ma era da un po' che volevo sperimentare la lunga esposizione con i soggetti in movimento, quindi, mentre risalivo la rampa che costeggia le pareti interne della cupola, ho provato a fare qualche esperimento con l'ascensore panoramico che passava al centro dell'Aula del Tempio per portare i visitatori alla terrazza panoramica. Quello che ho inserito qui sopra è lo scatto meglio riuscito: con Lightroom ho portato la foto in bianco e nero e ho aumentato l'esposizione, per dare un effetto high-key e provare, accentuando le geometrie sullo sfondo, a focalizzare l'attenzione sul movimento dell'ascensore. Il risultato non mi dispiace, per essere la mia prima prova, ma con il senno di poi avrei allungato ancora un po' il tempo di posa per vedere che effetto avrebbe dato una scia più accentuata, anche se, a questo livello di mosso, si distinguono ancora bene le persone all'interno dell'ascensore e questo mi piace molto.
Mi affascina il tema della resa del movimento in fotografia e credo che uno dei miei progetti futuri sarà quello di condurre qualche esperimento in questa direzione: fatemi sapere che cosa ne pensate! Con #Piemontedafotografare scoprirai qualcosa in più sulla Regione in cui vivo e la vedrai attraverso i miei scatti. Se sono riuscita a interessarti, considera l'idea di venire a fare un giro per conoscere con i tuoi occhi la bellezza che mi circonda! È il simbolo di Torino e una guida, con i suoi 167 metri di altezza, per chiunque visiti il capoluogo piemontese: è la Mole Antonelliana, confidenzialmente chiamata, da torinesi e non, «la Mole». Non mi sento mai veramente arrivata a Torino finché non la vedo stagliarsi sul cielo con tutta la sua imponenza, a darmi il suo saluto come ogni vera padrona di casa sa di dover fare. Anche se, a girare per Torino, è difficile non sentirsi sempre osservati dalla sua alta guglia, è impossibile non venire colti di sorpresa quando, passeggiando in via Montebello, ci si ritrova davanti al pronao che fa da ingresso all'edificio, come se ci si trovasse davanti a un tempio antico, per poi alzare gli occhi verso la cupola dalla strana forma allungata e la guglia, che si solleva prepotente verso le nuvole. Vuoi vedere la sciarpa rossa di Federico Fellini, le pistole usate in Pulp Fiction o la bombetta di Charlie Chaplin? Allora entra all'interne della Mole, dove è allestito il Museo Nazionale del Cinema, uno dei più visitati in Italia, che contiene numerosi oggetti di scena, bozzetti, costumi e una importante collezione sulla fase pre-cinematografica. Se invece vuoi sentirti per un attimo il vero padrone della città, sali sull'ascensore panoramico: ti condurrà dritto al "tempietto" che sovrasta la cupola, da cui potrai godere di una vista mozzafiato su Torino. Un po' di storia... Dopo che, nel 1848, lo Statuto Albertino ha concesso la libertà di culto alle religioni non cattoliche, la comunità ebraica acquista un appezzamento di terreno nell'attuale Via Montebello e commissiona ad Alessandro Antonelli la costruzione di un tempio. Il progetto, che inizialmente prevedeva un edificio alto solo 47 metri, è ampliato nel tempo dall'architetto, ma le sue scelte non troveranno il favore della comunità ebraica che nel 1869, anche a causa di una mancanza di fondi, interrompe i lavori chiudendo la costruzione con un tetto a 70 metri di altezza. Nel 1873 il comune di Torino prende in carico l'opera, barattandola con un terreno nel quartiere di San Salvario, dove ora è situata l'attuale sinagoga, e si impegna a portarla a compimento per dedicarla a Vittorio Emanuele II. I lavori proseguono ancora sotto Antonelli, che idea la terminazione appuntita dell'edificio, pur senza completare la guglia, la cui costruzione è ultimata nel 1888, anno della morte dell'architetto: la sommità dell'edificio supera così i 163 metri e ne fa il più alto al mondo, motivo per cui è chiamato Mole. La Mole Antonelliana è inaugurata nel 1889 e nell'occasione sulla punta della guglia è collocato un genio alato alto 4 metri, il che innalzò ulteriormente l'edificio. Nell'agosto del 1904, però, la statua crolla a causa di un nubifragio e l'anno successivo viene collocata al suo posto una stella a cinque punte, mentre il genio alato è conservato all'interno della struttura, pur essendo spesso scambiato per un angelo. Le disavventure della Mole non finiscono qui: nel 1953 una tromba d'aria spezza parte della guglia, che precipita nel giardino della sede Rai, senza ferire, fortunatamente, alcuna persona. I lavori di ristrutturazione durano fino al 1960, quando viene terminata una nuova guglia, questa volta con un'armatura metallica, sulla cui cima è posta una stella tridimensionale a 12 punte. Terminati i lavori, l'edificio ristrutturato è inaugurato il 31 gennaio 1961, durante le celebrazioni per il centenario dell'Unità d'Italia. Dal 2000 la Mole Antonelliana è la sede del Museo Nazionale del Cinema, uno dei luoghi più visitati di Torino e una delle sedi di esposizioni permanenti con più ingressi di tutta Italia, con una superficie visitabile di 3200 metri quadrati disposti su cinque piani e una quantità sterminata di cimeli appartenenti al mondo del cinema, oltre a una importante collezione di pezzi appartenenti alla fase "preistorica" del cinema. Ah... mai guardato dietro la moneta da 2 centesimi?! Vuoi arrivare a saperne più dei torinesi sulla Mole? Allora visita i link qui sotto:
Una vita sola è troppo poca per una ragazza come Eleonora Sacco, con mille idee per la testa, troppi posti da visitare e un sacco di storie da raccontare. Quando ti parla delle sue esperienze il suo volto si illumina, le sue labbra sono mosse da un entusiasmo quasi frenetico e i suoi occhi si stringono in un sorriso, come se non stesse aspettando altro che una tua domanda sull’ultimo posto che ha visitato o sui suoi progetti futuri. Ho conosciuto Eleonora tra i banchi dell’università. Non abbiamo iniziato subito a conoscerci e a raccontarci, ma quando l’abbiamo fatto per me è stata la scoperta di un mondo nuovo, un unico grande universo in cui c’è spazio per tutto ciò che di più diverso Eleonora ha collezionato durante i suoi viaggi. Sì, perché dai chilometri che si macina alla scoperta di posti nuovi, Eleonora non porta a casa souvenir e cartoline, ma occhi sempre nuovi con cui vedere ciò che la circonda e parole nuove con cui raccontarlo agli altri. E foto bellissime, che ti colpiscono non tanto e non solo dal punto di vista estetico, quanto per ciò che ti mostrano: piccoli scorci di realtà spesso dimenticate, ignorate o nascoste, a prima vista insignificanti ma molto, molto eloquenti. Non ho memoria, tra le sue avventure a me note, di una sola che fosse “commerciale” - anche perché se no non sarebbero più avventure, giusto? - e anche quando sceglie delle mete note o frequentate, Eleonora si impegna a ricercare soluzioni di viaggio, di alloggio e di itinerario diverse e soprattutto, per quanto è possibile economiche. Dalla scorsa primavera, con un viaggio sul Monte Olimpo alle porte, Eleonora ha anche inaugurato un suo blog personale, Pain de Route (di cui trovate il link sotto), che contiene consigli, racconti, recensioni e anche simpatiche classifiche e spezzoni di vita vera, tutto ovviamente tratto dalle sue esperienze. Ma perché annoiarvi con le mie parole? Lascio che sia Eleonora a raccontarsi, rispondendo alle domande che le ho sottoposto qualche giorno fa in esclusiva per i miei - per i nostri - lettori. Quando è nata la tua passione per la fotografia? Partiamo con domande facili, eh! Al ginnasio, forse vedendo altri che si appassionavano, ho iniziato a sfruttare i megapixel del mio cellulare e a “pensare” in un senso proto-fotografico. Poi ho trovato in casa la Yashica FX-3 2000 super analogica di mio padre e da lì ho iniziato a smanettare, finché non sono approdata al digitale, nel 2011. Quali sono state le tue prime esperienze? La prima foto fatta con un qualche criterio è una foto a delle oche in un prato - avevo 8 anni, suvvia… Inizio penoso a parte, ho sempre avuto una vocazione mezzo-artistica, che fin da piccola ho espresso in tutti gli ambiti possibili, grazie soprattutto all’incoraggiamento di mio nonno materno. Parlando di esperienze più concrete, credo di avere appena iniziato (ndr. e qui mi fa un tipografico occhiolino) Ho fatto, negli ultimi anni, piccoli lavoretti su commissione, foto per curriculum, tantissimi reportage in viaggio, foto varie più per poetica personale, ho venduto una foto a Dolce&Gabbana (anche io stento a crederci, ma è così) e a dicembre 2014, dietro piazza del Duomo, ho inaugurato una mostra fotografica su Turchia e Balcani, AlmostEvropa, che da lì si è spostata in diverse location tra Milano e hinterland. A maggio ho svolto anche una serie di ritratti di documentazione sulle donne della comunità eritrea di Milano, Call for beauty. Un altro tuo grande amore è quello per i viaggi: la fotografia è stata qualcosa di successivo o si tratta di due passioni che semplicemente si sono sposate bene? I viaggi sono (quasi) tutta la mia vita: senza di loro non sarei quella che sono oggi. Sono due passioni parallele ma sicuramente i viaggi hanno influito fortemente sulle foto più che il contrario, anche se sono “nati” dopo. Quali sono i tuoi soggetti preferiti? L’espressività, senza dubbio. Che significa ogni cosa in cui si possa leggere una sfumatura di umanità, che sappia provocarci, sconvolgerci, emozionarci, parlarci senza filtri, anche e soprattutto con irriverenza. Da una scodella di latta in un campo islandese alle bande di bambini circondati dal cemento, nelle montagne armene. Qualche tempo fa dicevo “paesaggi umani”; oggi non so se è ancora una definizione adatta. C’è un messaggio particolare che vuoi trasmettere con i tuoi scatti? Proprio qualche settimana fa, parlando con un caro amico, è venuta fuori una definizione più precisa della nuova “attenzione” che ho sviluppato negli ultimi mesi. Il soggetto è diventato semplicemente il pretesto per un secondo piano di lettura che non definirei un “messaggio”, ma solo un appiglio alla riflessione su temi più grandi. Pur mantenendo il distacco-rispetto per il reale della fotografia di reportage o di documentazione, che amo per la sua vocazione all’utile etico-poetico, ho iniziato (in realtà, inconsciamente) ad aumentare la densità negli scatti e a sviluppare alcuni temi che un po’ mi tormentavano: la violenza metodica del tempo-storia, la presenza costante di un doppio universo “filosofico” che si rivela a sprazzi, la lettura psicologica nei volti umani, l’anima nei paesaggi urbani e naturali. Era solo un’esigenza comunicativa: focalizzare l’attenzione degli altri su alcuni punti notevoli che ci passano di fianco nella vita, siano essi belli, brutti, sconvenienti, fotogenici o anti-commerciali. E’ un documentare la normalità, il modesto, il dubbio, l’indecifrabile, anche e soprattutto il banale. Particolarmente caro mi è quello della violenza storica, che si fa leggere, nella sua struggente bellezza, tra le crepe dei muri, nel cemento degli scempi edilizi, nella ruggine, nei palazzi crollati, nella vegetazione incontrollata, nei simboli monolitici del passato circondati dalle molteplici contraddizioni del nostro tempo. E ora che ci penso tutto questo è iniziato a nascere, tre o quattro anni fa, prima quando ho visto la quiete di un cimitero imbiancato, in un'isola sperduta delle Cicladi, e quando ho visto le lunghissime e meccaniche scale mobili della metropolitana del primo paese ex-comunista in cui sono stata, l’Ungheria. Per capirci meglio, qualcuno una volta mi ha detto: «Io vedo una scritta su un muro e penso che la città sia degenerata. Tu ci vedi un segno naturale del nostro tempo». In che misura le tue esperienze di viaggio influenzano il tuo stile? Le esperienze di viaggio mi hanno cambiato la vita! Il viaggiare mi ha insegnato a privarmi del superfluo, a tornare a uno stato primitivo fatto di elementi essenziali. Questo significa imparare a non avere paura, ribrezzo, pregiudizi, a dormire per terra, a saper resistere alla fame, al freddo, alla stanchezza, alle vesciche ai piedi, al fare a meno delle convenzioni della società in cui normalmente siamo imbevuti. In fotografia significa essenzialità, meno retorica, meno fronzoli, meno filtri formali, meno regolette accademiche e sostanzialmente più severità nel salvare o condannare una fotografia. Il criterio principe è la densità di contenuti e la loro leggibilità. Se non ha gli elementi basici per parlare e non parla, non c’è photoshop che tenga. Deve in qualche modo arrivare al sodo: anche per strade tortuose, ma deve arrivarci. Se non ce la fa, avanti la prossima. Progetti per il futuro? Sicuramente continuare sulla scia di AlmostEvropa e proporre un’altra ricerca del genere sul Caucaso. Ho già acceso il fuoco per far bollire le idee… questa volta vorrei fare un lavoro più preciso soprattutto tecnicamente e curare meglio la promozione dell’evento, esporlo in più luoghi e più a lungo. Continuerò anche l’attività del blog, su cui pubblico foto più “commerciali” per accompagnare gli articoli; le mie preferite sono invece sempre su Flickr. Qual è il tuo fotografo preferito? Sono così onnivora che mi è difficile rispondere. Sarò banale. Mi piace moltissimo Shore, il suo culto per la banalità e il rispetto reverenziale per ogni sfaccettatura della realtà. L’irriverenza e l’immediatezza di Klein. Le atmosfere di Basilico. Anche Koudelka, dai. E The Americans di Robert Frank e Les amies de la plache blanche di Stromholm. Vorresti che la fotografia facesse parte della tua vita lavorativa o preferiresti che rimanesse un hobby? È ancora un po' presto per pensarci (ndr. altro sorriso)! Mi piacerebbe scrivere guide di viaggio con testi e foto. Il grande dilemma sono i compromessi a cui bisogna scendere - sono dolorosi. Anche la strada del fotoreporter continua ad affascinarmi, nonostante sappia quanto sia difficile. Qual è, tra i tuoi scatti, quello che più ti rappresenta? È una foto che ho scattato nel 2012, in Grecia, proprio su quell'isola dove ho visto il cimitero bianco. C’è una scala rosa in muratura illuminata dalla luce del tramonto. L’ho scelta (ndr. con molta fatica…) perché è una foto del primo viaggio che davvero mi ha cambiato la vita e in cui ho capito cosa vuol dire viaggiare. Perché ci sono gli spigoli dei gradini che vanno in tutte le direzioni, e a mezzogiorno sarebbe stata una qualunque scalinata che porta al tetto di una casa. Ma al tramonto anche lo spigolo più acuto e insensibile, incrostato di sale, riverniciato sempre dello stesso bianco anno dopo anno, uguale a tanti altri, prende una sfumatura indicibile. Odio il rosa, ma, per me, questo qui è il colore del paradiso. Qui sotto potete vedere una galleria con altre foto di Eleonora: Se siete rimasti colpiti dalla sua storia ecco alcuni "link a Eleonora":
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Silvia MazzuccoStudentessa di Lettere Moderne e fotografa per passione. Archives
May 2019
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