Negli ultimi tempi ho iniziato a leggere qualche libro di fotografia per imparare alcuni accorgimenti da usare nei miei scatti. Ho provato ad acquistare volumi di varie collane, autori e case editrici: ve ne parlerò in questo post, lasciandovi qualche parere personale. L'occhio del fotografo, Michael Freeman (ed. Logos, 2008) É il primo dei diversi libri di Michael Freeman che ho acquistato. Considerato da molti il manuale per eccellenza sulla composizione fotografica, fa parte di una "trilogia" di testi più o meno divulgativi sulla fotografia (insieme a La mente del fotografo e La visione del fotografo, sempre dello stesso autore). Il mio giudizio su questo volume è positivo: lo stile di Freeman è secondo me accattivante anche se non scontato e lo spettro degli insegnamenti dati varia da semplici consigli a vere e proprie regole di estetica e design. Inoltre, i libri di Logos sono molto ben curati dal punto di vista della qualità dell'immagine, elemento a mio parere fondamentale se si parla di arti visive. Non bisogna, comunque, aspettarsi un testo eccessivamente scorrevole e "disimpegnato": circa 200 pagine su un argomento cardine come la composizione permettono all'autore di soffermarsi con cura su ogni dettaglio e, soprattutto per i neofiti, si tratta di un libro da leggere con estrema attenzione. Scheda del libro
Fotografia professionale - Il digitale in bianco e nero, John Beardsworth (ed. Logos, 2008) Non ho letto interamente questo volume: per ora, superata la parte generale, l'ho più che altro sfogliato alla ricerca delle singole nozioni di cui avevo bisogno. Ne apprezzo soprattutto il continuo riferimento alle migliori tecniche di gestione del bianco e nero in postproduzione, con l'inserimento di schermate per mostrare i vari passaggi o l'aspetto dei vari istogrammi e pannelli di regolazione. Anche in questo caso, ineccepibile la qualità delle immagini. Scheda del libro (Ibs) Fotografare i paesaggi - Da semplici istantanee a grandi scatti, Rob Sheppard (ed. Pearson, 2013) Da semplici istantanee a grandi scatti è l'altra collana di cui ho acquistato un paio di titoli (devo ancora sfogliare l'altro: Composizione fotografica - Da semplici istantanee a grandi scatti). Nasce immediato il paragone con il testo di Freeman di cui sopra, sempre sulla fotografia di paesaggi. Rispetto al primo, devo dire che questo libro possiede un capitolo introduttivo, ben organizzato, sull'attrezzatura: non che il volume della Photo School non ne parli, ma manca, appunto, di una sezione organica su questo argomento, a mio parere molto utile. Rispetto al volume di Freeman è forse più "alla mano" dal punto di vista della scrittura, ma le fotografie migliori sono comunque contenute nel libro "concorrente". Anche questi testi, inoltre, presentano una serie di suggerimenti per esercizi pratici. Un punto a favore per Sheppard, invece, è il citare software di postproduzione alternativi a Photoshop e indicarne alcune caratteristiche: grazie a questo volume, ad esempio, ho scoperto i programmi della Nik Collection, che mi piacerebbe provare. Credo che, per un appassionato di un particolare genere, possa valere la pena di acquistare i manuali di entrambe le serie citate, che, almeno per la mia esperienza, si compensano bene a vicenda. Scheda del libro Se vi ho incuriositi, vi lascio qui sotto qualche link che potrebbe interessarvi:
0 Comments
Con #Piemontedafotografare scoprirai qualcosa in più sulla Regione in cui vivo e la vedrai attraverso i miei scatti. Se sono riuscita a interessarti, considera l'idea di venire a fare un giro per conoscere con i tuoi occhi la bellezza che mi circonda! Chi a vëd Turin e nen la Venaria, a vëd la màre e nen la fija Chi vede Torino e non la Venaria, vede la madre e non la figlia A passarci per caso, senza sapere dove andare, che cosa cercare o qualcosa sulla sua storia, Venaria sembre una cittadina come tutte quelle altre che circondano Torino. Ma Venaria è un posto ricco di storia e lo capisci quando, camminando per via Mensa, vedi in lontananza un palazzo: non una di quelle residenze nobiliari qualsiasi, ma una vera e propria reggia, la Reggia di Venaria Reale. Se decidessi mai di spendere un po’ di tempo girando per il Palazzo e per i suoi giardini, ti accorgeresti di aver fatto un investimento proficuo. Entrando in quelle stanze, con i soffitti alti e decorati, enormi quadri alle pareti e pavimenti lucidi che sembrano fatti apposta per essere accarezzati dalla luce del sole, ti sembrerebbe di sentire il rumore dei passi di coloro che le abitavano e le loro voci e, quasi, la loro presenza. Uscendo nel parco, soprattutto in primavera, ti parrebbe che il tempo non fosse mai passato: ti guarderesti intorno attraversando l’Allea Centrale per arrivare fino al Tempio di Diana e la vedresti affollata di turisti, tutti, un po’ come te, meravigliati e insieme intimoriti da un’invasione di sensazioni che solo un luogo come la Venaria sa offrire. Così anche per te sarebbe come essere, in un certo senso, ospite, assieme a tutti gli altri, di quei signori di cui poco fa ti sembrava di udire i passi, le voci e la presenza: un convitato gradito e atteso, uno di quelli a cui si dice: «Fa’ come se fossi a casa tua». Ed è così che avviene la magia: per un giorno ti sentiresti anche tu il signore della Reggia. Un po' di storia... La storia della Venaria Reale inizia nel 1658, con l'avvio dei lavori di realizzazione della Reggia, guidati dall'architetto Amedeo di Castellamonte e protrattisi fino al 1679. Il nome Venaria rimanda chiaramente all'utilità principale dell'edificio, voluto fortemente da Carlo Emanuele II di Savoia (1634-1675) come base per le proprie battute di caccia, tanto che la scelta stessa del sito è stata effettuata tenendo bene a mente questa finalità. Nel 1693 la Reggia viene devastata dalle truppe francesi e Vittorio Amedeo II ne commissiona un restauro, la cui direzione è affidata a Michelangelo Garove. Un ulteriore rifacimento si rende necessario dopo l'Assedio di Torino del 1706, quando la Venaria diventa addirittura dimora dei francesi. Alla morte del Garove (1713) i lavori passano sotto la responsabilità di Filippo Juvarra, divenuto architetto di fiducia di Vittorio Amedeo II e già impegnato nella macchina del Castello di Rivoli. Nel 1724 Juvarra progetta le grandi scuderie della Mandria e nel '28 ultima la cappella di Sant'Uberto e la Grande Galleria per poi dedicarsi, dal 1729, a un'altra celebre residenza sabauda: la Palazzina di Caccia di Stupinigi. La Reggia subisce ulteriori trasformazioni in epoca napoleonica quando, in particolare, i giardini sono rasi al suolo per ricavare una piazza d'armi e la struttura diventa una vera e propria caserma. Da questo punto in avanti, fino al 1978, la Reggia è usata per fini militari e ciò la espone a un continuo degrado. É proprio nel '78 che la Venaria diventa oggetto di un imponente restauro, grazie anche all'opera di sensibilizzazione del critico d'arte Federico Zeri (1921-1998). A partire dal 1998 e per dieci anni la Reggia è sottoposta a un'imponente opera di ripristino e nel 2007 è finalmente pronta ad aprire i suoi cancelli ai visitatori. Si è ancora lavorato per qualche anno alla residenza per riportare alla luce tutti gli altri spazi non ancora oggetto di restauro e nel 2011, in coincidenza con i festeggiamenti del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il complesso è stato completato. La Venaria è diventata un esempio a livello internazionale grazie all'attenzione e alla buona gestione durante tutta la fase del rifacimento e, anche per questo, ospita tutt'oggi, nell'area delle ex-Scuderie, uno dei più famosi centri di restauro e conservazione delle opere d'arte. |
Silvia MazzuccoStudentessa di Lettere Moderne e fotografa per passione. Archives
May 2019
Categorie
All
|