Il personaggio di cui ci occuperemo questa settimana è famoso principalmente per i suoi contributi nel panorama letterario, ma si è avvicinato, in una fase già matura della sua carriera, anche alla fotografia: si tratta di Giovanni Verga (1840-1922), lo scrittore catanese, famoso autore de I Malavoglia. Verga si appassiona alla fotografia in una fase piuttosto avanzata della storia di questa nuova arte e ne fu uno dei primi frequentatori in Italia, sperimentando attivamente anche nuove tecniche, soprattutto per quanto riguarda il processo di sviluppo, e corredando le sue prove da annotazioni critiche. L’avvicinamento di Verga a quest’arte si spiega bene se rapportata al movimento letterario a cui aderisce, il Verismo (che però non ebbe mai il carattere di "scuola" o di "corrente"), per cui, in parole semplici, era preferibile che lo scrittore riportasse la verità in modo oggettivo, così come la vedeva e percepiva, esattamente come fa una fotografia, impietosa immagine del mondo che ci circonda. Egli, inoltre, si servì di questa arte a supporto della stesura dei propri romanzi, spinto da una volontà di documentazione più che da motivi estetici: sia la sua letteratura sia la sua arte, quindi, puntano a una ricerca del vero, della verità oggettiva. Lo scrittore catanese si dedica alla fotografia in un momento di crisi della sua vita letteraria: accantonato il progetto del “Ciclo dei Vinti” (dei cinque romanzi previsti, scrive solo I Malavoglia e il Mastro-don Gesualdo, e lì si ferma) e deluso da quello che è stato, in fondo, il suo primo amore, la fotografia inizia gradualmente a prendere il posto della letteratura come strumento di rappresentazione del vero. A differenza della sua scrittura, però, la fotografia di Verga non approderà mai a risultati innovativi o degni di proporsi come una pietra miliare della storia dell'arte: i suoi scatti sono statici e poco inclini al separarsi dalla tradizione e anche dal punto di vista tecnico i risultati non sono sempre stati felici. La sua è stata, comunque, un'esperienza pionieristica per quanto riguarda il rapporto tra letteratura e fotografia che diventerà negli anni e, soprattutto, nel secolo successivo un motivo ricorrente nel dibattito sul rapporto tra queste due forme d'arte, apparentemente distanti ma sempre più spesso messe a confronto, soprattutto in materia di utilità reciproca. Link originali delle immagini:
0 Comments
Da fotografa alle prime armi e spesso del tutto sprovveduta quale sono, mi è capitato di interrogarmi su divieti e restrizioni nel campo della fotografia e della sua diffusione. Per quanto riguarda la ritrattistica, ad esempio, è noto a tutti che per pubblicare l’immagine di una qualsiasi persona (illustre sconosciuto che sia) sia necessaria una sua autorizzazione - ed è anche comprensibile - ma ho scoperto che esistono altrettante restrizioni anche nel campo dell’architettura e dell’arte in generale, con influenze, quindi, su tutti i generi di fotografia che con queste hanno a che fare. Proverò a raccontarvi quello che ho capito da una breve fase di documentazione, con la premessa che, non essendo un’esperta in diritto, potrei riportare delle inesattezze: vogliatemi bene lo stesso! Qualsiasi forma di espressione artistica, sia essa letteratura, musica, pittura, ma anche architettura, è tutelata, in quanto frutto di un lavoro intellettuale, dalla legge sul diritto d’autore, che impedisce la riproduzione di tali opere nel caso in cui l' artefice sia ancora in vita o sia morto da meno di settant’anni. Nel caso in cui io fotografassi, ad esempio, la Biosfera al Porto di Genova, realizzata da Renzo Piano, e pubblicassi la mia immagine senza avere alcuna autorizzazione, e nella maggior parte dei casi, senza aver pagato una “tassa”, violerei i diritti d’autore. Lo stesso discorso vale per tutto ciò che è considerato un bene culturale: sebbene il “progettista” del Colosseo sia morto da un lasso considerevole di tempo, quindi, varrà lo stesso discorso dell’esempio che vi facevo prima. Per ovviare a questo inconveniente, che effettivamente limiterebbe un’altra libertà intellettuale, cioè quella del fotografo stesso, diversi Paesi hanno legiferato sulla cosiddetta libertà di panorama, «una limitazione del diritto d’autore che consente di scattare e riprodurre fotografie di edifici, opere e luoghi pubblici senza infrangere il diritto d’autore di alcuno» (fonte: Wikipedia). La libertà di panorama, come accennavo sopra, è una norma che agisce a livello locale, quindi ogni Stato può decidere se adottarla o meno e in che misura. Già a livello europeo sono molti i Paesi che concedono di fotografare senza alcun vincolo tutti gli edifici altrimenti soggetti a restrizioni e tanti addirittura estendono questa libertà alle opere d’arte. Anche gli Stati Uniti hanno recentemente accantonato alcuni divieti in materia e nel gennaio di quest’anno è stato presentato l’Ansel Adams Act, partendo proprio dall’idea che imporre dei limiti alla possibilità di effettuare fotografie equivale a limitare una libertà d’espressione. L’Ansel Adams Act, che prende il nome dal pioniere della fotografia paesaggista, vorrebbe rendere l’attività dei fotografi il più possibile libera da vincoli di qualsivoglia natura e sembra dare un’importanza quasi superiore al copyright di questi ultimi piuttosto che a quelli degli autori stessi delle opere. «E l’Italia?», vi chiederete voi: nel nostro Bel Paese la questione non è del tutto chiara, tanto che nel 2007 l’editorialista Luca Spinelli sollevò una vera e propria inchiesta, seguita da un’interrogazione parlamentare. Nel 2008 è stata dichiarata dal governo una sostanziale presenza della libertà di panorama, in nome del principio per cui qualsiasi comportamento che non è vietato da una norma è da considerarsi lecito. Lo stesso Spinelli diede una sua controbattuta, considerando erronea questa risposa, perché una norma che vieta questo comportamento esiste, ed è proprio quella sul diritto d’autore. Il risultato è che chiunque in Italia continua a fotografare architetture e beni culturali (che coprono, poi, una larga fetta di ciò che non è più protetto dai diritti d’autore) e a pubblicare le proprie immagini mentre, dall’altra parte, molti enti si sono fatti grossi della legge sul copyright e hanno diffidato parecchi siti internet dal pubblicare immagini che riguardassero le opere da loro tutelate (è eclatante il caso della diffida inviata dalla Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze a Wikipedia, con cui è stata richiesta la rimozione di tutte le fotografie raffiguranti le opere contenute nei Musei del capoluogo toscano). Usando uno di quei luoghi comuni che odio, ma che qui calza davvero a pennello, potrei dire che la questione è stata affrontata abbastanza “all’italiana” È chiaro che limitazioni come queste, mirate in linea di principio a tutelare gli interessi di autori e curatori, produrrebbero, se applicate pedestremente, più danni che benefici, soprattutto in un Paese come il nostro che fa della propria immagine artistica uno dei suoi cavalli di battaglia. Chiunque infatti, prima di scegliere la meta di una vacanza, di partire per un viaggio o pianificando una gita, dà un’occhiata alle foto pubblicate sul web, la maggior parte delle quali è stata scattata da fotoamatori che dubito si siano informati, o siano semplicemente consapevoli, delle leggi sui diritti d’autore. Ma è indubbio, e parlo anche per esperienza personale, che, passate le immagini “da copertina” presentate sui siti ufficiali, gli scatti dei singoli utenti offrono prospettive diverse e, a volte, uno sguardo più realistico sul luogo che stiamo per visitare. Infine, data proprio la bellezza della nostra Penisola, il vero reato sarebbe proprio vietare a tutti gli appassionati, professionisti ma anche amatori o semplici turisti, di divertirsi immortalando questo o quel palazzo storico, un’architettura particolare o dei suggestivi giardini. L’ha capito l’Europa Centrale, l’ha capito l’America: a concedere una libertà di espressione il più possibile ampia (per quanto rispettosa di alcuni principi di base) ci guadagnamo davvero tutti. Vuoi saperne di più? Continua ai link qua sotto:
Ragazza Afgana - Steve McCurry Steve McCurry scattò questa fotografia nel 1984. Inviato da National Geographic in Pakistan per documentare la situazione dei profughi afgani, incontrò questa giovane ragazza in una scuola all'interno del campo e la fotografò. L'immagine comparve sulla copertina del numero del giugno 1985 della famosa rivista, diventando una delle sue immagini più riconosciute, oltre che il simbolo del conflitto che dilaniava l'Afghanistan. Nel gennaio del 2002, McCurry, accompagnato da un team messogli a disposizione da National Geographic, si mise alla ricerca della ragazza da lui ritratta ormai diciotto anni prima e la ritrovò ai confini dell'Afganistan. Sharbat Gula, questo è il suo nome, rimasto sconosciuto fino ad allora, era sposata e con figli e portava sul suo viso i segni di tutta la guerra e la sofferenza in cui era stata immersa fin da bambina. «Ero contento che fosse viva - ha dichiarato il fotografo in un'intervista rilasciata a Televisionet.tv - volevamo ripagarla per tutte quelle volte in cui avevamo pubblicato la sua immagine». Il bacio a Times Square - Alfred Eisenstaedt Conosciuta sotto vari titoli, tra cui V-J Day in Times Square, è una delle immagini più note del periodo della Seconda Guerra Mondiale. Alfred Eisenstaedt la scattò il 15 agosto 1945 a Times Square, durante le celebrazioni per la resa del Giappone. Per decenni la coppia protagonista dello scatto è rimasta ignota ed è stato solo nel 2007, dodici anni dopo la morte dello stesso Eisenstaedt, che la specialista di arte forense Lois Gibson identificò il marinaio e l'infermiera al centro dell'immagine: erano Glen McDiffie ed Edith Shain. Quando, quel giorno di agosto, Glen uscì dalla metro, una ragazza lo fermò dicendogli che la guerra era finita. Il marinaio, preso dall'euforia, corse in strada, vide Edith e la baciò. I due non si scambiarono nemmeno una parola, ma questa immagine carica di gioia, senso di liberazione e fiducia nel futuro fu subito accolta dal Life Magazine come icona della speranza di una nuova vita. Lunch atop a Skyscraper - Charles Clyde Ebbets Nel 1932 Charles C. Ebbets scattò questa fotografia a undici operai, durante la costruzione di uno dei grattacieli del Rockfeller Center. Diverse voci girano attorno a questa foto. La prima sostiene che Ebbets non sia il vero autore di questa foto, scattata invece da un altro dei professionisti chiamati dal Rockfeller Center, tanto che lo stesso archivio Bettmann/Corbis, detentore dei diritti sulla fotografia, non ha mai riconosciuto la paternità di Ebbets. Si pensa anche che lo scatto non rappresenti una situazione autentica, ma sia stata una "trovata pubblicitaria", commissionata proprio dal Rockfeller Center, per promuovere il nuovo grattacielo in un momento di difficoltà e sfiducia come quello in cui era immersa New York in quelli che erano gli anni della Grande Depressione. Abbey Road - Ian McMillan Utilizzata per la realizzazione dell'omonimo album, questa è sicuramente uno dei ritratti più famosi dei Beatles. Nata da un'idea di Paul McCartney, l'immagine fu realizzata nel 1969 da Ian McMillan, amico di John Lennon e Yoko Ono. Sistemato in cima a una scala, in mezzo alla strada, McMillan scattò sei fotografie, tra cui si scelse questa perché era l'unica in cui i quattro musicisti camminavano "a tempo". La direzione in cui i Beatles procedevano, inoltre, era significativa vista la fase della loro carriera, perché, provenendo da sinistra, era come se stessero uscendo dagli studi della EMI, in cui avevano registrato per tutta la durata del loro sodalizio. Secondo i sostenitori della leggenda della morte di Paul McCarthy, poi, ci sarebbero diversi elementi all'interno della foto che alluderebbero proprio al decesso del bassista del gruppo londinese e alla sua sostituzione con un sosia (rimando i più curiosi alla pagina di Wikipedia sull'album Abbey Road). Falcone e Borsellino - Tony Gentile Forse non è una delle fotografie più famose del mondo, ma sarà sicuramente nota a tutti gli italiani che abbiano letto un giornale o un notiziario online in estate, quando si ricordano le stragi di Capaci (23 maggio 1992) e di via d'Amelio (19 luglio 1992), in cui persero la vita i due magistrati antimafia con le rispettive scorte. La stessa immagine è stata scattata nel 1992, più precisamente il 27 marzo, due mesi prima dell'attentato a Giovanni Falcone, ma fu resa pubblica solo nel luglio dello stesso anno, dopo la morte di Paolo Borsellino. I due colleghi e amici si trovavano riuniti in occasione della presentazione della candidatura alla Camera dei Deputati di un loro collega, Giuseppe Ayala; sono seduti vicini e si parlano a bassa voce, quando uno dei due fa una battuta, facendo nascere il sorriso anche sul volto dell'altro. Ed è in quel momento che Gentile fa scattare l'otturatore della sua macchina fotografica, immortalando un momento che non sarà di lotta sul campo, ma resterà il simbolo dell'eterna amicizia e condivisione di due figure che saranno annoverate tra gli eroi della lotta alla mafia. Il giorno dopo l'evento, come accennavo sopra, l'immagine è scartata e non viene pubblicata dal Giornale di Sicilia, testata per cui Gentile lavorava, ma verrà recuperata proprio dopo la scomparsa dei magistrati. È questo proprio uno di quei casi in cui le tempistiche di pubblicazione determinano il successo di un'opera: se lo scatto fosse stato mandato in stampa il giorno dopo quel 27 marzo, infatti, probabilmente non sarebbe mai stata circondata di quell'aura simbolica e carica di significato con cui la vediamo oggi. Ti è rimasta qualche curiosità? Dai uno sguardo ai link qui sotto:
Ecco a voi una mia prima prova di infografica (abbastanza semplificata...) con alcune curiosità sul mondo della fotografia.
Se volete vedere qualche altra foto di Giorgio Lotti, visitate il suo sito. La storia con cui voglio incominciare ha per protagonisti due figure importanti, rispettivamente, nel mondo della letteratura e della fotografia. Il primo è Eugenio Montale (1896-1981), il grande poeta italiano che, a cavallo tra due epoche, ha saputo interpretare «i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni»; il secondo, Giorgio Lotti (1937- ) è uno dei più noti fotografi italiani, collaboratore di diverse testate giornalistiche e riviste, ritrattista di molti personaggi noti, tra cui proprio Montale.
Nel 1975 le loro strade si incrociano per dare vita a quello che ritengo essere uno dei momenti più “umani” della storia del fotogiornalismo. Lotti è a casa di Montale per realizzare un servizio fotografico, quando il telefono del poeta suona e questi si apparta in una stanza vicina per rispondere. Lotti non conosce il motivo e nemmeno il contenuto della conversazione che lo scrittore sta intrattenendo, ma può vederne la reazione e le molteplici espressioni che gli si dipingono sul viso, di attenzione, gioia e poi, progressivamente, quasi incredulità. Per questo il fotografo decide di montare sul proprio corpo macchina una focale lunga e di eseguire una serie di scatti in sequenza, ritraendo il vortice di sensazioni che si stava dipingendo sul volto di Montale. Era il 1975. Eugenio Montale aveva appena vinto il Premio Nobel per la Letteratura. |
Silvia MazzuccoStudentessa di Lettere Moderne e fotografa per passione. Archives
May 2019
Categorie
All
|