Rieccomi dopo una pausa di qualche settimana per continuare a raccontarvi le mie esperienze attraverso l'obiettivo della mia fedele macchina fotografica. Questa volta vi parlerò della domenica con gli amici della Locanda Canal Secco Trucco di Oropa e de Il mondo nelle Ali all'insegna della vita con i rapaci. Buona lettura e buona visione! Avete mai trascorso un pomeriggio letteralmente con la testa tra le nuvole, alla scoperta del misterioso e affascinante mondo dei rapaci? Io arrivo fresca fresca da questa esperienza, in cui mi sono buttata, in realtà, per fare un regalo ad Andrea, il mio ragazzo, che ho scoperto essere piuttosto incuriosito da queste specie di volatili. Per regalare questa piccola sorpresa al mio falconiere mancato ho preso contatto con Orietta, organizzatrice, una volta al mese, di una passeggiata nei boschi attorno al Santuario di Oropa, durante la quale i partecipanti possono prendere contatto con le poiane, rapaci diurni di discrete dimensioni (almeno per me, che non ne avevo mai visti), per poi assistere a dimostrazioni di volo con altri volatili notturni come gufi, civette, barbagianni. A gestire l’evento, oltre a Orietta, lei stessa allevatrice di alcuni esemplari che solitamente partecipano a queste giornate, i ragazzi de Il mondo nelle ali, guidati da Daniele, falconiere per lavoro ma soprattutto per passione, insieme ai loro esemplari. L’elevata umidità (quando dico che eravamo in mezzo a una nuvola non scherzo…) non ha permesso la passeggiata nel bosco, anche perché, da quanto ci hanno spiegato, con un clima del genere i rapaci fanno fatica a volare. La giornata si è incentrata, quindi, direttamente sulla seconda fase, in cui ci sono stati mostrati i diversi “amici” dei falconieri che hanno preso parte alla giornata e abbiamo assistito a piccole prove di volo. Ciò che mi ha colpito è il rapporto di tangibile fiducia e complicità che si è instaurato tra Orietta, Daniele e tutti gli altri allevatori-addestratori con i loro animali, un rapporto non scontato e che, nella cultura popolare, in pochi crederebbero possibile quando ci si riferisce a dei volatili. Spesso ho visto i nostri “insegnanti” appoggiare la fronte su quella dei loro rapaci, dar loro piccoli baci o accarezzarli con affetto e dalle loro parole ho percepito la grande attenzione nei confronti di quelli che effettivamente sono loro amici e compagni di vita. Ci è stato chiaramente spiegato quanto sia importante una forma di rispetto e di vera e propria fedeltà verso il proprio animale, che non deve mai essere ingannato o forzato a eseguire qualcosa solo per il nostro piacere, concetti a una prima lettura scontati ma forse nemmeno troppo. Piccoli-grandi protagonisti delle due affascinanti ore trascorse alla Locanda Canal Secco Trucco sono stati i due figli di Orietta, Gabriele e Federico, anche loro amanti dei rapaci e soprattutto del loro barbagianni Aurora. Gabriele è già piuttosto grande, dimostra sicurezza nel gestire il suo animale e i suoi occhi brillano tutte le volte che ce l'ha sul braccio. Il più piccolino invece, Federico, è un giovane vulcano che sembra determinato a diventare un vero falconiere ed è stato molto dolce vederlo seduto, poco distante da me, con Aurora sempre vicina oppure ascoltare attento le parole di Daniele in compagnia della civetta Cesare. A concludere il pomeriggio sono arrivate Anastasia e Wayra, le due poiane, che hanno saltellato e svolazzato libere in mezzo a noi, ogni tanto richiamate dai loro allevatori per esibirsi in prove di volo e mostrare tutta la loro abilità afferrando in aria bocconi di cibo o il "logoro", una sorta di finta preda fatta trascinare a terra da uno dei bambini presenti. Quest'ultima parte, in special modo, ha coinvolto diversi tra i partecipanti, soprattutto i più piccoli, che hanno provato a richiamare sul proprio braccio Anastasia e Wayra. Che dire di più? Se siete degli amanti degli animali, se volete scoprire questi affascinanti volatili o se avete dei bambini che volete far divertire, educandoli allo stesso tempo al rispetto per la natura e le sue specie questa è l'attività giusta: non ve ne pentirete! Non vi basta? Allora fatevi un giro a questi link:
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Questa settimana vi voglio proporre due scatti di Giorgio Lotti, di cui avevo già scritto a proposito del servizio realizzato a Eugenio Montale. Il soggetto fotografato questa volta è Giuseppe Ungaretti (1888-1970), noto soprattutto per la sua attività di poeta-soldato durante la prima guerra mondiale e per il suo ruolo di ispiratore della poesia ermetica.
È il 20 luglio del 1969 e dalle 18:30 gli italiani sono davanti ai televisori per assistere alla diretta della Rai in occasione dello sbarco del primo uomo sulla Luna. Scienziati, artisti, personaggi dello spettacolo e del mondo della cultura seguono con attenzione le immagini trasmesse dal Telegiornale e tra di loro c'è anche Giuseppe Ungaretti, seduto a tavola davanti a un piatto di pasta e un bicchiere di vino. Insieme a lui, oltre a un inviato di Epoca, anche Giorgio Lotti aspetta l'allunaggio. Le immagini che ci ha regalato ritraggono un uomo nato ottantuno anni prima, spettatore di tanti avvenimenti e stravolgimenti che solo il XX secolo ha potuto mettere davanti agli occhi degli abitanti della Terra in una successione così rapida, che esulta durante l'avvicinamento dell'Apollo 11 alla luna e brinda a Neil Amstrong e ai suoi compagni sollevando una bottiglia di vino. Ritraggono la gioia di un uomo che ha visto due Guerre Mondiali, sufficienti, con tutte le atrocità che hanno portato, a far perdere ogni fiducia nel futuro, festeggiare, invece, la più grande conquista dell'umanità. «Questa è una notte diversa da ogni altra notte del mondo» afferma Ungaretti, ma chiarisce anche: «Gli uomini continueranno a vedere la Luna così come appare dalla Terra, anche se la sua conoscenza fisica e scientifica potrà essere approfondita o modificata. Ma per gli effetti ottici che ha sulla Terra, la Luna rimarrà sempre per i poeti, e penso anche per l’uomo qualunque, la stessa Luna». Non c'è un'analisi più chiara di ciò che è, in fondo, l'uomo: per quanto potrà gioire di un progresso che diraderà quelle nubi, quelle ombre che generano il mistero e quindi la poesia, sarà sempre in grado di vedere il mondo che lo circonda con gli stessi occhi con cui lo hanno ammirato coloro che hanno vissuto prima di lui. E chi sarebbe in grado di testimoniarlo meglio Giuseppe Ungaretti, nato e vissuto a cavallo di due secoli che hanno generato un vero e proprio spartiacque tra due epoche? Quando la moglie è in vacanza (1955) È una delle immagini di Marylin Monroe più riprodotte e imitate, dal film Quando la moglie è in vacanza. La scena da cui è tratta è altrettanto famosa: Marylin si ferma su una griglia di aerazione posta sul marciapiede e al passaggio della metropolitana la gonna del suo celebre abito bianco si solleva scoprendole le gambe, nonostante il suo tentativo di tenerlo giù. Nella gran parte dei poster l'attrice è ritratta a figura intera, come qui a fianco. Nel film, invece, sono riprese solo le gambe di Marylin a causa del formato della pellicola (1,55 : 1), particolarmente lungo e stretto. È stato invece il fotografo Matty Zimmermann a immortalare la scena così come tutti ce la ricordiamo. Colazione da Tiffany (1961) Tra i fotogrammi più famosi di Colazione da Tiffany c'è da ricordare sicuramente quello della scena iniziale. È mattino presto e in una Manhattan che non si è ancora svegliata Audrey Hepburn, sulle note di Moon River, scende da un taxi e si ferma, con un biscotto danese in una mano e un bicchiere di caffè nell'altra, ad ammirare la vetrina di Tiffany. Con il suo abito da sera impreziosito da un ricco collier di perle, Holly Golightly (così si chiama il personaggio interpretato dalla Hepburn) è diventata un simbolo di eleganza e anche per questo è entrata nell'immaginario collettivo, tanto che chiunque saprebbe associare questo e altri fotogrammi famosi proprio al film tratto dal romanzo di Truman Capote. La scena in questione è stata difficile da girare per Audrey Hepburn, che odiava i biscotti danesi, era stata messa in difficoltà dalla folla accalcatasi nella Fifth Avenue per osservare le riprese del film ed era ben consapevole che lo stesso Capote avrebbe preferito Marylin Monroe per interpretare Holly. Nonostante tutto, è anche grazie a questa pellicola se la sua fama (insieme al suo portafoglio...) si è estesa a dismisura e se oggi tanti decidono di appendere la sua immagine alle pareti di casa. La dolce vita (1960) E come dimenticare il bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi in La dolce vita? Dopo una serata trascorsa in un locale, in compagnia del fotoreporter Marcello (interpretato dall'omonimo Marcello Mastoianni), Sylvia, così si chiama l'attrice impersonata dalla Ekberg, si incammina per Roma e, arrivata alla famosa fontana, vi si immerge invitandoci anche l'amico, al suono del celeberrimo: «Marcello, come here!». Nonostante avesse girato diversi film prima del capolavoro che ha fruttato a Fellini la nomination all'Oscar, è stata questa pellicola a rendere famosa la Ekberg in tutto il mondo, ma soprattutto a farla spopolare in Italia, dove si trasferì subito dopo le riprese de La dolce vita e ottenne la maggior parte dei successivi incarichi. Vacanze Romane (1953) Roma sembra destinata a consacrare le star del cinema alla celebrità: oltre alla Ekberg, infatti, anche Audrey Hepburn è stata resa famosa grazie a un film girato nella nostra capitale, con l'interpretazione della principessa Anna in Vacanze Romane. Sono diverse le scene celebri del film, tra cui quella che vede la Hepburn alla guida di una Vespa, mentre il giornalista Joe Bradley (Gregory Peck), seduto dietro di lei, cerca di riprendere i comandi del mezzo. Il giro in motorino dei due è la sequenza iconica della pellicola, con una Audrey Hepburn entusiasta alla scoperta di Roma. Sono state proprio la sua freschezza e la sua spontaneità a convincere il regista William Wyler che la nascente stella di Hollywood fosse la scelta giusta per il ruolo della protagonista del suo film e proprio queste sue doti devono aver creato una buona empatia anche con il pubblico, rendendo il personaggio della principessa Anna uno dei più ricordati della storia del cinema degli anni '50. Un americano a Roma (1954) Nando Mericoni, il protagonista di Un americano a Roma, è il prototipo dell'italiano medio del dopoguerra, che guarda sospirando agli Stati Uniti come a un paese di cuccagna in cui è possibile sognare un futuro migliore. Nando, interpretato dall'intramontabile Alberto Sordi, conosce l'America solo attraverso il cinema, ma cerca di ricreare l'ambiente a stelle e strisce nella sua Roma, imitando i suoi modelli e abbozzando qualche parola in un inglese maccheronico. C'è solo una cosa degli States a cui Nando, però, non sa abituarsi: il cibo. Dopo aver assaggiato quella che, secondo lui, è una vera cena americana, a base di latte, yogurt e mostarda, preferisce infatti ripiegare su un piatto di maccheroni, pronunciando la famosa battuta: «Maccarone, tu mi hai provocato e io ti distruggo adesso». L'immagine dell'«Albertone nazionale» con la bocca spalancata pronto a divorare una forchettata di spaghetti è spesso esposta in molti ristoranti ed è una delle icone della cucina italiana. Vuoi rivivere tutti questi momenti intramontabili del cinema? Ecco gli spezzoni dei film da cui sono state tratte le immagini:
Ieri pomeriggio sono stata al Rifugio degli Asinelli di Sala Biellese, una vera e propria "pensione" in cui sono ospitati piccoli equini che hanno avuto un passato travagliato, di abbandono o maltrattamento, oppure che sono stati ceduti da proprietari che non potevano più prendersene cura. La struttura è situata in un'area immersa nel verde dei boschetti a cavallo tra Biella e Ivrea ed è possibile anche scorgere all'orizzonte le Prealpi: la sensazione di ritrovarsi immersi nella natura è assicurata.
Per vedere altre foto visitate la mia gallery e l'album che ho pubblicato su Flickr.
La settimana scorsa ci siamo occupati di Giovanni Verga, famoso prosatore divenuto in età matura anche cultore di fotografia. Il personaggio di cui parleremo oggi, invece, amava soprattutto stare davanti all'obiettivo e i suoi ritratti sono lo specchio di un nuovo modo di rappresentarsi e di farsi rappresentare, in linea con le mode della sua epoca: signore e signori, ecco a voi Gabriele d'Annunzio. Ne Il Piacere, D'Annunzio scrive: «Bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte», citazione fin troppo abusata, anche dalla stessa critica, ma che in questo contesto calza a pennello. Sono diversi a sostenere, infatti, soprattutto tra coloro che non ne hanno apprezzato la poetica, che il vero e proprio capolavoro dell'autore abruzzese sia stata, in effetti, la sua stessa vita e, come con tutti i figli del proprio ingegno, D'Annunzio si è curato di non farle mai mancare quella che oggi definiremmo una buona "attenzione mediatica". Tutto ciò non deve farci dimenticare, comunque, che egli amava farsi fotografare non solo per lasciare un segno, un ricordo di sé, ma anche perché gli piaceva vedersi ritratto, in linea con un atteggiamento fin troppe volte, e forse con fin troppa semplificazione, definito narcisistico. In questo quadro rientra la sua attenzione alla qualità dell'immagine, verso la quale era scrupolosissimo, tanto che le immagini che lo rappresentano superano di gran lunga la media dell'epoca, e la sua ricerca della posa perfetta. Neanche a dirlo, D'Annunzio smise di farsi fotografare quando il suo aspetto smise di piacergli, sotto il peso di anni che non poté ricacciare indietro. Mi immagino uno shooting con lui e riesco solo a figurarmi il peggior soggetto un fotografo possa desiderare: esigente, mai contento e sicuramente prevaricatore, il classico che ne sa sempre più di te e che ti fa cestinare scatti su scatti perché il suo gusto sarà sempre più importante del tuo. Del resto, rientra perfettamente nel personaggio che tutti ci immaginiamo. Se osserviamo alcuni dei numerosi scatti in cui compare il Vate notiamo, oltre ai classici ritratti con o senza uniforme, sempre di tre quarti e dal profilo migliore, una serie di scatti in cui egli si trova in pose quotidiane (un bell'ossimoro, ma così è), immortalato immerso nella vita di tutti i giorni ma sempre con una composizione ben studiata. Vediamo D'Annunzio leggere sdraiato su un divano, intrattenersi con i suoi levrieri, andare a cavallo, tutte attività che rientravano in una sua ideologia, che facevano parte dell'uomo che egli voleva essere, o almeno di come voleva essere immaginato, e che gli interessava rimanessero impresse per sempre. È vero, Gabriele D'Annunzio ce l'ha fatta: ci ha restituito un'immagine di sé fatta proprio ad opera d'arte e gli scatti che lo ritraggono ci aiutano a dimostrarlo. Quella che passa davanti ai nostri occhi scorrendo le sue fotografie potrebbe essere una vita che non è vera vita, forse è addirittura troppa vita, se lo si può dire, ma certamente è grazie a questo che egli è ricordato anche da chi non si avvicina alla sua letteratura. Chissà se oggi ne sarebbe contento... Per saperne di più:
Diverse delle fotografie che ho inserito nel mio post sono state prese dalla galleria offerta dal sito del Vittoriale. |
Silvia MazzuccoStudentessa di Lettere Moderne e fotografa per passione. Archives
May 2019
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