Con #Piemontedafotografare scoprirai qualcosa in più sulla Regione in cui vivo e la vedrai attraverso i miei scatti. Se sono riuscita a interessarti, considera l'idea di venire a fare un giro per conoscere con i tuoi occhi la bellezza che mi circonda! E tutto tace. Non il sepolcrale silenzio rompe il suono degli squilli non latrato di veltri. L'autunnale luce è silente. Non canto di grilli estivo e roco. Solo indefinito fievole viene un suono di zampilli. Guido Gozzano, Il Castello di Agliè Quando ho visitato Agliè c'era il mercato nella piazza del Castello, così io e mio papà abbiamo dovuto percorrere la strada che separa il parco dal resto del complesso per andare trovare parcheggio dietro i giardini. Ritornando verso il borgo stavo rischiando di perdermi il timido scorcio della facciata interna che si mostrava dai cancelli, coperta da una schiera di alberi. Ancora oggi, quando penso ad Agliè, mi viene in mente l'immagine di quell'edificio imponente, con ancora qualcosa delle sue origini medievali a ben osservarlo, così serio e quasi austero nella sua geometria, che sembrava quasi volersi nascondere timidamente. Mi sento sempre un po' in soggezione quando lo rivedo nelle mie foto, proprio come quando mi sono avvicinata a quei cancelli. Sì, perché al Castello di Agliè non servono tanti fronzoli per farsi ammirare, ma la sua semplicità basta per incutere un senso di rispetto e di curiosità in chiunque gli si avvicini. Per non parlare, poi, dell'effetto che fa passeggiare per i giardini e aggirarsi nell'immenso parco al di là della strada, tanto grande che, a volerlo, ci si può dimenticare di tutto e convincersi di essersi perduti chissà dove. Un po' di storia.... Il Castello Ducale di Agliè domina il borgo torinese omonimo già dal XII secolo, quando è residenza del casato dei San Martino di Agliè, che proprio in quell'epoca inizia a imporre il proprio dominio sul Canavese. L'edificio mantiene l'aspetto di fortezza medievale, circondato da mura e da un fossato e con un possente maschio centrale, fino alla metà del XVII secolo. È il conte Filippo di San Martino, consigliere di Maria Cristina di Francia, a occuparsi di un primo rifacimento del castello, commissionando ad Amedeo di Castellamonte un progetto che comprende la presenza di due corti, una verso Agliè e l'altra interna, il rifacimento della facciata che dà sul giardino e la trasformazione delle torri in due padiglioni. I lavori procederanno fino al 1667, anno della morte del conte. Nel 1764 la proprietà passa ai Savoia e Carlo Emanuele III commissiona a Ignazio Birago di Borgaro l'ampliamento del complesso. L'architetto si occupa di realizzare ariosi appartamenti all'interno, mentre all'esterno edifica la chiesa parrocchiale e la collega al castello mediante una galleria a due piani (ne era prevista una seconda sul lato opposto, a dare simmetria all'insieme, che però non fu realizzata). Il Birago chiama a sé gli artisti impegnati anche alla corte di Torino per realizzare la monumentale Fontana dei Quattro Fiumi, che accoglie i visitatori al loro ingresso nel giardino. Come accade in diverse residenze sabaude del Torinese durante l'occupazione napoleonica, anche il Castello di Agliè è spogliato dei suoi arredi per poi essere convertito in ricovero per mendicanti e indigenti, mentre il parco è destinato ai privati per uso agricolo. Si costruisce anche la strada che ancora oggi separa il parco dal giardino, unico elemento che non è stato possibile rimuovere quando, dopo la Restaurazione, il Castello è tornato nelle mani dei Savoia. Nel 1825 la proprietà passa a Carlo Felice e alla moglie Maria Cristina di Borbone-Napoli, che portano avanti una nuova stagione di restauri affidata all'architetto Michele Borda di Saluzzo. Egli si occupa della risistemazione degli interni, oltre alla trasformazione del giardino all'italiana in una chiave più romantica. Con la morte di Maria Cristina, avvenuta nel 1849, il Castello Ducale rientra nei possedimenti di Carlo Alberto di Savoia-Carignano e rimarrà in mano a questo ramo della dinastia sabauda fino al 1939, quando il duca Tommaso di Savoia-Genova lo venderà allo Stato. Durante la Seconda Guerra Mondiale l'edificio è segretamente adibito a deposito di oggetti e documenti a rischio di requisizione tedesca (nelle ex-cucine sono ospitati persino i tesori del Museo Egizio) e appena finito il conflitto è fatto oggetto di una serie di restauri che lo porteranno all'apertura al pubblico. In un secondo momento anche i giardini e il parco sono risistemati e anch'essi diventano visitabili a partire dal 1986. Volete saperne di più? Date un'occhiata ai link qui sotto:
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Ragazza Afgana - Steve McCurry Steve McCurry scattò questa fotografia nel 1984. Inviato da National Geographic in Pakistan per documentare la situazione dei profughi afgani, incontrò questa giovane ragazza in una scuola all'interno del campo e la fotografò. L'immagine comparve sulla copertina del numero del giugno 1985 della famosa rivista, diventando una delle sue immagini più riconosciute, oltre che il simbolo del conflitto che dilaniava l'Afghanistan. Nel gennaio del 2002, McCurry, accompagnato da un team messogli a disposizione da National Geographic, si mise alla ricerca della ragazza da lui ritratta ormai diciotto anni prima e la ritrovò ai confini dell'Afganistan. Sharbat Gula, questo è il suo nome, rimasto sconosciuto fino ad allora, era sposata e con figli e portava sul suo viso i segni di tutta la guerra e la sofferenza in cui era stata immersa fin da bambina. «Ero contento che fosse viva - ha dichiarato il fotografo in un'intervista rilasciata a Televisionet.tv - volevamo ripagarla per tutte quelle volte in cui avevamo pubblicato la sua immagine». Il bacio a Times Square - Alfred Eisenstaedt Conosciuta sotto vari titoli, tra cui V-J Day in Times Square, è una delle immagini più note del periodo della Seconda Guerra Mondiale. Alfred Eisenstaedt la scattò il 15 agosto 1945 a Times Square, durante le celebrazioni per la resa del Giappone. Per decenni la coppia protagonista dello scatto è rimasta ignota ed è stato solo nel 2007, dodici anni dopo la morte dello stesso Eisenstaedt, che la specialista di arte forense Lois Gibson identificò il marinaio e l'infermiera al centro dell'immagine: erano Glen McDiffie ed Edith Shain. Quando, quel giorno di agosto, Glen uscì dalla metro, una ragazza lo fermò dicendogli che la guerra era finita. Il marinaio, preso dall'euforia, corse in strada, vide Edith e la baciò. I due non si scambiarono nemmeno una parola, ma questa immagine carica di gioia, senso di liberazione e fiducia nel futuro fu subito accolta dal Life Magazine come icona della speranza di una nuova vita. Lunch atop a Skyscraper - Charles Clyde Ebbets Nel 1932 Charles C. Ebbets scattò questa fotografia a undici operai, durante la costruzione di uno dei grattacieli del Rockfeller Center. Diverse voci girano attorno a questa foto. La prima sostiene che Ebbets non sia il vero autore di questa foto, scattata invece da un altro dei professionisti chiamati dal Rockfeller Center, tanto che lo stesso archivio Bettmann/Corbis, detentore dei diritti sulla fotografia, non ha mai riconosciuto la paternità di Ebbets. Si pensa anche che lo scatto non rappresenti una situazione autentica, ma sia stata una "trovata pubblicitaria", commissionata proprio dal Rockfeller Center, per promuovere il nuovo grattacielo in un momento di difficoltà e sfiducia come quello in cui era immersa New York in quelli che erano gli anni della Grande Depressione. Abbey Road - Ian McMillan Utilizzata per la realizzazione dell'omonimo album, questa è sicuramente uno dei ritratti più famosi dei Beatles. Nata da un'idea di Paul McCartney, l'immagine fu realizzata nel 1969 da Ian McMillan, amico di John Lennon e Yoko Ono. Sistemato in cima a una scala, in mezzo alla strada, McMillan scattò sei fotografie, tra cui si scelse questa perché era l'unica in cui i quattro musicisti camminavano "a tempo". La direzione in cui i Beatles procedevano, inoltre, era significativa vista la fase della loro carriera, perché, provenendo da sinistra, era come se stessero uscendo dagli studi della EMI, in cui avevano registrato per tutta la durata del loro sodalizio. Secondo i sostenitori della leggenda della morte di Paul McCarthy, poi, ci sarebbero diversi elementi all'interno della foto che alluderebbero proprio al decesso del bassista del gruppo londinese e alla sua sostituzione con un sosia (rimando i più curiosi alla pagina di Wikipedia sull'album Abbey Road). Falcone e Borsellino - Tony Gentile Forse non è una delle fotografie più famose del mondo, ma sarà sicuramente nota a tutti gli italiani che abbiano letto un giornale o un notiziario online in estate, quando si ricordano le stragi di Capaci (23 maggio 1992) e di via d'Amelio (19 luglio 1992), in cui persero la vita i due magistrati antimafia con le rispettive scorte. La stessa immagine è stata scattata nel 1992, più precisamente il 27 marzo, due mesi prima dell'attentato a Giovanni Falcone, ma fu resa pubblica solo nel luglio dello stesso anno, dopo la morte di Paolo Borsellino. I due colleghi e amici si trovavano riuniti in occasione della presentazione della candidatura alla Camera dei Deputati di un loro collega, Giuseppe Ayala; sono seduti vicini e si parlano a bassa voce, quando uno dei due fa una battuta, facendo nascere il sorriso anche sul volto dell'altro. Ed è in quel momento che Gentile fa scattare l'otturatore della sua macchina fotografica, immortalando un momento che non sarà di lotta sul campo, ma resterà il simbolo dell'eterna amicizia e condivisione di due figure che saranno annoverate tra gli eroi della lotta alla mafia. Il giorno dopo l'evento, come accennavo sopra, l'immagine è scartata e non viene pubblicata dal Giornale di Sicilia, testata per cui Gentile lavorava, ma verrà recuperata proprio dopo la scomparsa dei magistrati. È questo proprio uno di quei casi in cui le tempistiche di pubblicazione determinano il successo di un'opera: se lo scatto fosse stato mandato in stampa il giorno dopo quel 27 marzo, infatti, probabilmente non sarebbe mai stata circondata di quell'aura simbolica e carica di significato con cui la vediamo oggi. Ti è rimasta qualche curiosità? Dai uno sguardo ai link qui sotto:
Con #Piemontedafotografare scoprirai qualcosa in più sulla Regione in cui vivo e la vedrai attraverso i miei scatti. Se sono riuscita a interessarti, considera l'idea di venire a fare un giro per conoscere con i tuoi occhi la bellezza che mi circonda! Chi a vëd Turin e nen la Venaria, a vëd la màre e nen la fija Chi vede Torino e non la Venaria, vede la madre e non la figlia A passarci per caso, senza sapere dove andare, che cosa cercare o qualcosa sulla sua storia, Venaria sembre una cittadina come tutte quelle altre che circondano Torino. Ma Venaria è un posto ricco di storia e lo capisci quando, camminando per via Mensa, vedi in lontananza un palazzo: non una di quelle residenze nobiliari qualsiasi, ma una vera e propria reggia, la Reggia di Venaria Reale. Se decidessi mai di spendere un po’ di tempo girando per il Palazzo e per i suoi giardini, ti accorgeresti di aver fatto un investimento proficuo. Entrando in quelle stanze, con i soffitti alti e decorati, enormi quadri alle pareti e pavimenti lucidi che sembrano fatti apposta per essere accarezzati dalla luce del sole, ti sembrerebbe di sentire il rumore dei passi di coloro che le abitavano e le loro voci e, quasi, la loro presenza. Uscendo nel parco, soprattutto in primavera, ti parrebbe che il tempo non fosse mai passato: ti guarderesti intorno attraversando l’Allea Centrale per arrivare fino al Tempio di Diana e la vedresti affollata di turisti, tutti, un po’ come te, meravigliati e insieme intimoriti da un’invasione di sensazioni che solo un luogo come la Venaria sa offrire. Così anche per te sarebbe come essere, in un certo senso, ospite, assieme a tutti gli altri, di quei signori di cui poco fa ti sembrava di udire i passi, le voci e la presenza: un convitato gradito e atteso, uno di quelli a cui si dice: «Fa’ come se fossi a casa tua». Ed è così che avviene la magia: per un giorno ti sentiresti anche tu il signore della Reggia. Un po' di storia... La storia della Venaria Reale inizia nel 1658, con l'avvio dei lavori di realizzazione della Reggia, guidati dall'architetto Amedeo di Castellamonte e protrattisi fino al 1679. Il nome Venaria rimanda chiaramente all'utilità principale dell'edificio, voluto fortemente da Carlo Emanuele II di Savoia (1634-1675) come base per le proprie battute di caccia, tanto che la scelta stessa del sito è stata effettuata tenendo bene a mente questa finalità. Nel 1693 la Reggia viene devastata dalle truppe francesi e Vittorio Amedeo II ne commissiona un restauro, la cui direzione è affidata a Michelangelo Garove. Un ulteriore rifacimento si rende necessario dopo l'Assedio di Torino del 1706, quando la Venaria diventa addirittura dimora dei francesi. Alla morte del Garove (1713) i lavori passano sotto la responsabilità di Filippo Juvarra, divenuto architetto di fiducia di Vittorio Amedeo II e già impegnato nella macchina del Castello di Rivoli. Nel 1724 Juvarra progetta le grandi scuderie della Mandria e nel '28 ultima la cappella di Sant'Uberto e la Grande Galleria per poi dedicarsi, dal 1729, a un'altra celebre residenza sabauda: la Palazzina di Caccia di Stupinigi. La Reggia subisce ulteriori trasformazioni in epoca napoleonica quando, in particolare, i giardini sono rasi al suolo per ricavare una piazza d'armi e la struttura diventa una vera e propria caserma. Da questo punto in avanti, fino al 1978, la Reggia è usata per fini militari e ciò la espone a un continuo degrado. É proprio nel '78 che la Venaria diventa oggetto di un imponente restauro, grazie anche all'opera di sensibilizzazione del critico d'arte Federico Zeri (1921-1998). A partire dal 1998 e per dieci anni la Reggia è sottoposta a un'imponente opera di ripristino e nel 2007 è finalmente pronta ad aprire i suoi cancelli ai visitatori. Si è ancora lavorato per qualche anno alla residenza per riportare alla luce tutti gli altri spazi non ancora oggetto di restauro e nel 2011, in coincidenza con i festeggiamenti del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il complesso è stato completato. La Venaria è diventata un esempio a livello internazionale grazie all'attenzione e alla buona gestione durante tutta la fase del rifacimento e, anche per questo, ospita tutt'oggi, nell'area delle ex-Scuderie, uno dei più famosi centri di restauro e conservazione delle opere d'arte. |
Silvia MazzuccoStudentessa di Lettere Moderne e fotografa per passione. Archives
May 2019
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